Il nome spirituale, un battesimo per l’anima

Dai tempi antichi, colui che segue un cammino interiore ad un certo punto riceve un nome spirituale: è una rinuncia all’ego e un’affermazione della direzione della propria anima. Da non prendere con leggerezza.

di Jayadev Jaerschky

  1. Lo scopo del nome spirituale.

Perché vengono presi nuovi nomi dai ricercatori spirituali? Come vengono scelti? In quale modo ci aiutano? Chi lo può prendere? Per capire bene il loro ruolo dei nel mondo yogico, è bene prima guardare allo scopo originale dello yoga, perché lo yoga è diventato, in molte parti del mondo, una vera e propria moda. Basta guardare su Instagram, molte le belle modelle, e tutto il mostrarsi e il “farsi vedere”!.

Certo, non è una moda cattiva, perché porterà comunque dei benefici notevoli alla nostra società: eseguito bene, lo yoga ci aiuta a stare in buona salute, ci porta equilibrio, armonia e benessere. Tuttavia originariamente mirava a tutt’altro. È sempre stato un percorso potente di trasformazione della nostra coscienza: si tratta di un viaggio interiore che ci porta dal nostro piccolo ego alla nostra anima, al vero Sé.

Sri Yukteswar nell’Autobiografia di uno yogi lo spiega con queste parole: “L’uomo è un’anima e ha un corpo. Quando stabilisce correttamente il proprio senso di identità, egli si lascia alle spalle qualsiasi modello coercitivo. Finché resterà confuso nel suo stato ordinario di amnesia spirituale, conoscerà le sottili catene della legge dell’ambiente in cui vive”.

La Bhagavad Gita, accanto agli Yoga Sutra di Patanjali, è la più importante scrittura yogica. Essa presenta questa trasformazione in maniera simbolica, descrivendo una battaglia in cui due eserciti si oppongono: da un lato ci sono i “Kaurava” con il loro padre cieco (!) Dhritarashtra, che rappresenta il nostro piccolo io con tutte le sue tendenze egoiche, mondane e “cieche”. Dall’altro lato c’è l’esercito dei “Pandava” con il loro padre bianco (!) Pandu, che rappresenta la nostra anima e le sue qualità divine “bianche” o luminose, che risiedono nei nostri chakra. Alleluia! Alla fine della battaglia vince la nostra anima.

2. Dal piccolo sé alla luminosa anima

Se percepiamo lo yoga in questa ottica, comprendiamo subito il vero significato dei nomi spirituali, che vengono dati da tempi immemorabili ai ricercatori spirituali. Spesso, ma non sempre, il nuovo nome viene conferito con una cerimonia. Attenzione! Non stiamo parlando dei nomi monastici, cioè del nome che uno Swami riceve durante i suoi voti da rinunciante. Parliamo invece dei nomi spirituali per i ricercatori comuni.

Il nome spirituale viene offerto perché riflette, almeno in parte, l’anima della persona. Spesso esprime la sua direzione di crescita. È un ricordo costante, quindi, della sua direzione di evoluzione. I nomi spirituali esercitano un impatto potente: elevano la coscienza della persona che lo riceve. È semplicemente elevante sentirsi chiamare con il nuovo nome. Cambia qualcosa dentro di noi. I nomi in sanscrito vibrano con una frequenza elevata. Quindi il nome spirituale emana una vibrazione benefica, trasformante, supercosciente. In questo modo ci aiuta a lasciare alle spalle la nostra vecchia identità con i suoi limiti e ci aiuta a identificarci con la qualità della nostra anima.

“Kirtani”, ad esempio, è colei che canta al Signore: è un vero nome dell’anima. “Anand” è colui che sta interiormente in beatitudine. “Shivani” è la forma femminile di Shiva, della trasformazione. “Sahaja” è colei che è naturale, senza sforzo. “Jayadev” è l’angelo della vittoria. E così via.

3. Come si individua il nuovo nome

I nomi spirituali indicati sopra sono stati dati da Swami Kriyananda, che aveva un sistema particolare per sceglierli: si concentrava sull’anima della persona e ascoltando in meditazione il suono dell’OM, si formava il suono del nuovo nome. Lo sentiva. Non conoscendo bene il sanscrito, poi spesso guardava nel suo dizionario indiano per capirne il significato. Oggi però Swamiji non c’è più, e quindi ad Ananda i nomi vengono dati da vari insegnanti. Però viene dato solo se la persona che lo richiede si dimostra seria ed è disposta ad usarlo, almeno nei cerchi yogici. Alla famiglia, al lavoro ecc., spesso non viene introdotto.

Per trovare il nome giusto di solito viene inclusa la persona che lo richiede: medita sul nome (o nomi) proposto dall’insegnante. A volte lei stessa ne suggerisce uno. Così ad esempio è nato il nome “Shraddha”, che significa l’abbandono, la fede, la fiducia in Dio. È una nuova identità elevata, una direzione, una chiamata dell’anima. Può persino diventare una preghiera: “Aiutami ad abbandonarmi sempre più a Te.” Di nuovo: cambiare nome ha indubbiamente un impatto forte sulla nostra vita.

In breve: i nomi spirituali aiutano a superare il piccolo ego, che era abituato a vivere in un certo modo. Si tratta quindi di una rinascita. Con il nuovo nome diventiamo diversi, più anima, meno ego. Entriamo in una nuova e più elevata energia.

4. È necessario per tutti?

Una domanda: è necessario prendere un nome spirituale? Assolutamente no. Anche ad Ananda Assisi, ad esempio, Helmut è sempre rimasto Helmut. A una persona che ha chiesto il nome spirituale, Swami Kriyananda ha detto: “Il tuo nome ha già un significato spirituale, perché cambiarlo?” Per un certo periodo non ha più dato i nomi, perché le persone non li prendevano con serietà.

Quindi attenzione! Se una persona che pratica yoga o meditazione desidera un nome solo perché anche altri lo hanno ricevuto, o perché la rende più affascinante, o perché si sente speciale essere chiamata “Shakti” o “Devi”, allora non ci siamo proprio. Il nome spirituale è una cosa profonda che vuole superare l’ego, non rafforzarlo. Il nome spirituale deve essere un passo serio, sacro, consapevole, sentito nell’anima. Sennò è meglio tenere il proprio nome di nascita.

Namasté grande anima.

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2 commenti

  1. Namaste’ grande Angelo della Vittoria!sempre meraviglioso leggerti!Om Guru Om

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