Vivere Patanjali, il potere dello yoga portato nella vita

VIVERE PATANJALI Il potere del vero yoga
Di Jayadev Jaerschky
Ananda Edizioni, pagg. 350, € 25
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Intervista a Jayadev Jaerschky.

di Shraddha Giulia Calligaro.

“Volevo dare una vibrazione della vera India con questo libro, non parlare soltanto attraverso le parole, ma anche con l’energia che emana da un sapere antico”, ci dice Jayadev al termine dell’intervista. Poco più tardi, cambiato contesto, ci racconterà che in questo momento la sua più grande soddisfazione spirituale è quando si sente meno Jayadev, “una vecchia idea di Jayadev”, ma sempre di più appena l’ospite di uno stato di coscienza che lo riporta al suo Maestro Paramhansa Yogananda e alla sua guida in vita Swami Kriyananda. Ed è proprio questo senso di essere messi in contatto, attraverso il canale dell’autore, con qualcosa di più alto l’effetto che resta al lettore di Vivere Patanjali, il potere del vero yoga (Ananda Edizioni), un libro che profuma di sacro, e che accorda dal profondo chi lo attraversi non solo con la mente.

Da dove nasce l’urgenza di parlare di Patanjali?

Da tempo dicevo a Swami di revisionare i discorsi di Yogananda su Patanjali, perché sono molto preziosi. Ma Yogananda li ha concepiti in un flusso libero, salta da una cosa all’altra, richiedevano perciò molto lavoro. Swami lo voleva fare, ma allora era già avanti con gli anni, Patanjali rivelato è il suo penultimo libro in effetti, e non aveva più la forza di un tempo. Mi ha anche chiesto di aiutarlo ad abbinare i discorsi ai sutra, e lo feci, ma poi non ne tenne conto, perché per lui allora funzionava di più lavorare seguendo la sua voce interiore. Nell’ideare questo libro per me fu anche un problema scrivere qualcosa di diverso da quello che aveva scritto lui. Invece poi mi sono ricordato che proprio lui insegnava che un sutra (aforisma, “perla” di sapere) non significa solo una cosa, che è tradizionale in India che ci siano interpretazioni diverse. Così ho proseguito con l’idea di questo libro.

Ci presenti allora il “tuo” Patanjali?

Di solito quando si legge Patanjali sembra qualcosa di totalmente cervellotico, che ti porta nella filosofia astratta, Yogananda lo rese più comprensibile e più vicino al cuore. Anche perché il concetto principale di Patanjali, che è chitta, per Yogananda si traduce con “sentimento”, cioè lo colloca nel cuore. E ci riporta così alla devozione, l’amore, l’intuizione che sta nel cuore, alla percezione.

Cosa troviamo di Patanjali in questo libro e nel commento di Yogananda?

Nei discorsi di Yogananda si fa riferimento solo ai primi 31 sutra, poi si è fermato per qualche motivo. A questi si aggiunge un sutra del secondo capitolo (secondo pada) sul kriya yoga e i famosi “otto passi”, che sono anche nel secondo capitolo. Sono discorsi in stile quasi orale, un po’ una giungla per orientarsi. Ho lavorato anni per dare una struttura e per ordinare tutto. Così, quando ho iniziato a scrivere il libro, molto era già stato fatto.

Quanto è importante radicare ancora in Patanjali lo yoga?

Importantissimo, lui ci presenta lo yoga vero. Anche Yogananda lo diceva. Ogni insegnante di yoga dovrebbe in qualche modo radicarsi in Patanjali. Lui ha sistematizzato tutto il sapere antico, per lo più orale, dei grandi rishi. Il titolo, “Vivere” Patanjali, a cosa si riferisce?

Al fatto di rendere pratico lo yoga. Se lo yoga resta sul tappetino e non lo applichi alla tua vita non ha nessun senso. Quindi Patanjali deve essere veramente vissuto. Di ogni sutra mi devo chiedere: come lo posso applicare sia alla meditazione, sia alla mia pratica, sia alla mia vita.

Così infatti strutturi il libro, ce ne parli?

 Siccome i discorsi di Yogananda non si possono citare direttamente, perché hanno un copyright, ho scelto di esprimere i suoi contenuti in forma di dialogo – lo stile usato anche nelle Upanishad – tra Patanjali e un suo discepolo ideale, Yogibala. Ma tutto quello che viene detto è puro Yogananda. E poi per ciascuno do l’applicazione pratica: meditazione, yoga, vita. Sri Yukteswar, il Maestro di Yogananda, diceva che bisogna meditare e fare proprio il sapere. Nell’Autobiografia di uno Yogi c’è la storia di un pandit che incontra Sri Yukteswar e parla parla parla. Al termine Sri Yukteswar gli dice: “Aspetto di ascoltarti”. L’altro si stupisce e allora il lui gli spiega che quello che conta non sono le circostanze ma come queste ti trasformano. Il sapere deve diventare carne.

Come mai Yogananda si fermò al sutra 31?

Non si sa, ma se si applicano profondamente anche solo questi 31 è più che sufficiente per andare molto molto avanti.

E parla anche del kriya yoga.

Yogananda diceva che Patanjali era un kriya yogi. I grandi yogi alla fine passano sempre dal pranayama nella spina dorsale. Magari anche chiamandolo con nomi diversi. L’ho imparato viaggiando molto sull’Himalaya.

Quindi passa agli “otto passi”, la sequenza scientifica della realizzazione.

E si può dire anche che la realizzazione non può che passare da lì. Mi ricordo una volta di un corso a uno yoga festival che parlava del quinto passo, pratyahara (ritirare l’energia nel centro) e si rivolgeva completamente ai sensi. Com’è possibile? Per quanto vedo io, oggi non è molto diffuso andare oltre le tecniche del pranayama, il quarto passo, spesso fermandosi ad asana, uno yoga fisico. Ma sono molto fiducioso che questo cambierà presto, perché il mondo dello yoga è in evoluzione.

Fermandoci alle basi di questo percorso, gli yama e niyama, il decalogo morale dello yoga. Come cambierebbe il mondo se li applicassimo?

Se facessimo il tentativo di attenerci agli yama e niyama, anche solo con le intenzioni, vivremo in un mondo molto più bello. Cominciando da ahimsa, non violenza: come sarebbe il mondo senza ferirci l’un altro o senza ferire noi stessi? E satya, la verità, come sarebbe se andassimo tutti verso la verità. O verso il non desiderio, ashteya, quando invece il mondo è pieno di desideri mondani. E così via. D’altro canto anche fare yoga senza praticare questo decalogo è come avere un secchio bucato. Sono le basi della vita yogica.

Ma si può dire anche della vita felice.

Oggi ci sono tante offerte di yoga. Come si fa a capire se stiamo praticando un vero yoga?

Se fai un vero yoga in qualche modo la tua vita deve fiorire. Alla fine siamo esseri divini, coperti da un sacco di abitudini, karma, strati psicologici, e con la vita yogica questa parte divina brilla sempre di più.

Qualche esempio?

Se diventi più pacifico, gioioso, saggio, luminoso, amorevole allora lo yoga sta funzionando. Anche Krishna parla di queste qualità nella Bhagavad Gita, il Vangelo indiano. E Yogananda diceva che c’è un parallelismo tra Patanjali e Bhagavad Gita. E poi lo yoga originario porta alla meditazione, anche questo è una verifica, per quanto oggi non tutti pratichino con questo intento. Forse non è ora il loro turno.

Shraddha Giulia Calligaro

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