Eccoci alla fine di questo anno dedicato ai doni che Yogananda ha lasciato all’umanità, a celebrarlo con i canti che ci ha lasciato, da lui stesso spiritualizzati, e che portano alla comunione divina.
di Sanjaya David Connolly
Paramhansa Yogananda ha lasciato molti doni spirituali all’Occidente: le tecniche di Hong-So e del Kriya Yoga, gli Esercizi di Ricarica (il suo contributo originale allo Yoga), le sue affermazioni di guarigione scientifica e, non ultimo, il canto devozionale: e insieme devono essere visti nel contesto più ampio della sua principale missione, che ha descritto come segue: “Ristabilire Dio nei templi delle anime, attraverso il risveglio degli insegnamenti originali della comunione di Dio proposti da Cristo e Krishna è il motivo per cui sono stato mandato in Occidente …”
Il canto devozionale come aiuto per la comunione con Dio, ovviamente, è sempre esistito sia in Oriente che in Occidente. In Occidente, dobbiamo solo pensare ai canti gregoriani o ai canti bizantini del cristianesimo ortodosso. E in Oriente, invocare Dio attraverso il canto ripetitivo dei suoi vari nomi risale a tempi immemorabili. Ma è un nuovo tipo di canto quello che Yogananda introdusse in Occidente, basato sulla ripetizione di frasi significative piuttosto che sui nomi di Dio come nella maggior parte dei canti indiani. Osserva, infatti, Kriyananda: “Questo tipo di canto è più simile a una preghiera ripetitiva messa in musica. La ripetizione del nome di Dio incoraggia il pensiero ‘Dio farà tutto per me’. I canti cosmici di Yogananda risvegliano il pensiero ‘In questi modi coopererò con Sua Grazia’. Combinano l’appello dell’anima per la Grazia Divina con lo sforzo personale”. E Yogananda è molto chiaro riguardo al loro effetto: “Questi canti ripetuti correttamente porteranno la comunione con Dio e la gioia estatica, e attraverso questi la guarigione del corpo, della mente e dell’anima …”
Ma questo tipo di canto devozionale è forse estraneo alla comprensione occidentale? La stessa domanda è stata posta a Yogananda durante i primi anni della sua missione in Occidente. Ha risposto nel modo più pratico. Semplicemente uscì davanti al suo pubblico durante una serie di conferenze alla Carnegie Hall di New York (aprile 1926) e iniziò a cantare “O God Beautiful” (il suo adattamento di un canto di Guru Nanak) per mostrare che questi canti sono rilevanti per il pubblico occidentale perché la musica satura di forza dell’anima è musica veramente universale e comprensibile a tutti i cuori. Tale musica, dice Yogananda, è “il linguaggio universale della devozione dell’anima a Dio”. Ha fatto cantare questo canto all’intero pubblico per un’ora e venticinque minuti. E ha raccontato quanti tra il pubblico il giorno successivo abbiano testimoniato della percezione di Dio e della guarigione del corpo, della mente e dell’anima che avevano avuto luogo durante il canto.
Yogananda notoriamente ha detto che “il canto è metà della battaglia”, e la battaglia è arrivare a quella percezione di Dio, sintonizzarci con la coscienza divina. Potremmo riflettere per un momento sul fatto che lo descrive come metà della battaglia, non solo un aiuto nella battaglia, non solo il dieci o il venti percento della battaglia, ma la metà. Questo dovrebbe darci l’idea dell’importanza del canto devozionale. Ma il suono è così potente? potremmo chiedere. Secondo Yogananda, è “la forza più potente dell’universo”. La musica, ad esempio, può cambiare istantaneamente il nostro umore. Ma ancora di più, è possibile che un cantante attraverso una singola nota rompa il vetro in una finestra. E conosciamo tutti la storia biblica di come Giosuè fece crollare le mura di Gerico al suono delle trombe (Giosuè 6: 4-20). E perché il suono ha un tale potere? Perché l’intera creazione non è che una vibrazione di energia e tutto ciò che percepiamo attraverso i nostri cinque sensi è semplicemente una diversa vibrazione di energia. Quindi il suono, essendo vibrazione, può influenzare direttamente la vibrazione di chi ascolta, e la musica, ma anche la parola pronunciata, ha un potere di cui spesso non siamo consapevoli.
Yogananda ha scritto o adattato una cinquantina di canti che ha definito “canti cosmici”. Perché cosmici? Perché le vibrazioni che entrano in noi quando li cantiamo correttamente (con devozione, concentrazione e consapevolezza) ci mettono in sintonia con la vibrazione cosmica, la vibrazione primordiale, il suono sacro dell’Aum, attraverso il quale è stato creato l’universo, in altre parole, con Dio nella sua manifestazione cosmica. Ciascuno dei Canti Cosmici, ci dice Yogananda, è stato spiritualizzato da lui; cioè, cantato finché non ha ricevuto una risposta da Dio. Se riusciamo a sintonizzarci con la vibrazione particolare di ogni canto, possiamo aspettarci lo stesso risultato. E come sottolinea Kriyananda: “Cantare i canti spiritualizzati di un Maestro, in particolare con una consapevole sintonia con lui, può essere un mezzo molto potente per attirare la sua grazia”.
Come si fa a cantare correttamente questi canti? In primo luogo, è importante imparare i canti a memoria in modo da poter cantare con gli occhi chiusi e con tutta la nostra concentrazione. Il semplice canto meccanico significa pronunciare invano il nome del Signore. Non si traduce in contatto con Dio. Dovremmo ripetere il canto molte volte fino a quando non siamo completamente immersi nella gioia del canto. In effetti, la percezione della gioia durante il canto è la prima percezione della presenza di Dio. Dovremmo cantare, spiega Yogananda, “… con una devozione sempre crescente fino a quando non viene ricevuta consapevolmente da Lui una risposta sotto forma di comunione, estasi e gioia senza limiti …”.
Elenca cinque fasi durante la pratica del canto: ad alta voce (per attirare la nostra attenzione cosciente), in un sussurro (con più concentrazione e devozione), mentalmente (in modo che il canto entri nel subconscio), inconsciamente (ripetendo fino a quando non cantiamo solo con la coscienza interna) e supercoscientemente (quando le vibrazioni interne vengono convertite in realizzazione e stabilite nella mente supercosciente, subconscia e cosciente). Quindi, alla fine di ogni canto, ci dovremmo sforzare di assorbire e sentire la vibrazione di quel particolare canto prima nel cuore, e poi di elevare quella vibrazione fino al punto tra le sopracciglia (il punto attraverso il quale possiamo aprire la nostra coscienza verso la coscienza divina). Ed è per questo che dovremmo rimanere un po’ in silenzio dopo ogni canto, cercando di interiorizzare le vibrazioni del canto sempre più profondamente e, se possibile, a livello della supercoscienza.
Il canto è una forma molto efficace di Bhakti yoga (yoga della devozione) e, come tale, è una pratica spirituale che richiede una profonda concentrazione e un intenso assorbimento nella ripetizione del canto. Non è per il nostro divertimento (come una canzone popolare), ma nasce dalla profondità della vera devozione a Dio. Pertanto, richiede (come tutte le forme di yoga) apertura del cuore, controllo e direzione dell’energia e una mente concentrata diretta in modo univoco verso Dio. Dobbiamo sempre ricordare, come sottolinea Kriyananda, che lo scopo più alto del canto è quello di aiutarci a risvegliare il nostro potenziale spirituale: avvicinarci all’autorealizzazione.
Original English text
Half the battle…
di Sanjaya David Connolly
Paramhansa Yogananda bestowed many spiritual gifts on the West: the techniques of Hong-Sau and Kriya Yoga, the Energization Exercises (his original contribution to Yoga), his Scientific Healing affirmations, and, not least, devotional chanting, all of which have to be seen in the broader context of his overriding mission, which he stated as follows: “To reestablish God in the temples of souls through revival of the original teachings of God-communion as propounded by Christ and Krishna is why I was sent to the West…”
Devotional chanting as an aid to God-communion, has, of course, always existed in both East and West. In the West, we only have to think of the Gregorian chants or the Byzantine chants of Orthodox Christianity. And in the East, invoking God through the repetitive chanting of His various names goes back to time immemorial. But it was a new kind of chanting that Yogananda introduced in the West, based on the repetition of meaningful phrases rather than the names of God as in most Indian chants. As Kriyananda remarks: “This kind of chanting is more like repetitive prayer set to music. Repeating God’s name encourages the thought ‘God will do it all for me’. Yogananda’s cosmic chants awaken the thought ‘In these ways I will cooperate with His Grace.’ It combines the soul’s appeal for Divine Grace with self-effort.” And Yogananda is quite clear as to their effect: “These chants properly repeated will bring God-communion and ecstatic joy, and through these the healing of body, mind and soul…”
But is this kind of devotional chanting perhaps alien to Western understanding? This same question was put to Yogananda during the early years of his mission in the West. He replied in the most practical of ways. He simply went out in front of his audience during a series of lectures at Carnegie Hall in New York (April 1926) and began chanting “O God Beautiful” (his adaptation of a chant by Guru Nanak) to show that these chants are just as relevant to Western audiences because music saturated with soul force is real universal music and understandable to all hearts. Such music, Yogananda says, is “the universal language of the soul’s devotion to God.” He had the entire audience singing this chant for one hour and twenty-five minutes. He relates how many of the audience the next day testified to the God-perception and healing of body, mind and soul that had taken place during the chanting.
Yogananda famously said that “chanting is half the battle”; the battle being to arrive at that perception of God, to attune ourselves with the divine consciousness. We might reflect for a moment that he describes it as half the battle, not just a help in the battle, not just ten or twenty percent of the battle, but half. This should at least alert us to the importance of devotional chanting. But is sound so powerful we may ask. According to Yogananda, it is “the most powerful force in the universe”. Music can, for example, instantly change our mood. But even more, it’s possible for a singer through one single note to break the glass in a window. And we all know the Biblical story of how Joshua brought the walls of Jericho tumbling down through the blowing of trumpets (Joshua 6:4-20). And why does sound have such power? Because the whole of creation is but a vibration of energy and everything that we perceive through our five senses is simply a different vibration of energy. So sound, being a vibration, can directly influence the vibration of the listener, and music, but also the spoken word, has a power that we are often unaware of.
Yogananda wrote or adapted about fifty chants which he termed “Cosmic Chants”. Why cosmic? Because the vibrations that enter us when we chant them correctly (with devotion, concentration and awareness) bring us into attunement with the cosmic vibration, the primal vibration, the sacred sound of Aum, through which the universe was created, in other words, with God in His cosmic manifestation. Each of the Cosmic Chants, Yogananda tells us, has been spiritualized by him; that is, sung till he received a response from God. If we can attune ourselves with the particular vibration of each chant, we can expect the same result. And as Kriyananda points out: “To sing the spiritualized chants of a master, particularly with a consciousness of attunement with him, can be a very powerful means of attracting his grace.”
How do we sing these chants correctly? Firstly, it’s important to learn the chants by heart so that we can sing with eyes closed and with all our concentration. Merely chanting mechanically is taking Lord’s name in vain. It doesn’t result in God-contact. We should repeat the chant many times until completely immersed in the joy of the chant. In fact, the perception of joy while chanting is the first perception of the presence of God. We should chant, explains Yogananda, “…with ever increasing deep devotion until a response is consciously received from Him in the form of communion, ecstasy and boundless joy…”.
He lists five stages during the practice of chanting: In a loud voice (to attract our own conscious attention); in a whisper (with more concentration and devotion); mentally (so that the chant enters into the subconscious); subconsciously (repeating until we are chanting with internal consciousness only); and superconsciously (when the internal vibrations are converted into realization and established in the superconscious, subconscious and conscious minds). So, at the end of each chant, we endeavour to absorb and feel the vibration of the particular chant first in the heart and then to raise that vibration to the point between the eyebrows (the point through which we can open our consciousness towards a higher, divine consciousness). And this is why we should remain a short while in silence after each chant, trying to interiorize the vibrations of the chant ever more deeply and, if possible, at the level of superconsciousness.
Chanting is an effective form of Bhakti (devotional) yoga and, as such, it is a spiritual practice requiring deep concentration and intense absorption in the repetition of the chants. It is not for our entertainment (like a popular song) but is born out of the depth of true devotion to God. Therefore, it requires (like all forms of yoga) devotion, control and direction of energy and a concentrated mind directed one-pointedly towards God. We should always remember, as Kriyananda emphasizes, that the higher purpose of chanting is to help awaken us to our own spiritual potential: to bring us closer to self-realization.