Se il Natale diventa un amplificatore della solitudine del cuore: apriti a un disegno più grande

Una sincera testimonianza personale, per il sentire di molti

di Radhika Leali

Quest’anno ho fatto fatica a sentire l’atmosfera del Natale, quella nota particolare che si respira molto prima del 25 dicembre. L’anno scorso già non era stato facile: era il primo Natale senza mio padre. Ma l’anno scorso c’era ancora mia madre, ed era stato bello creare per lei un Natale di gioia, di calore, di parenti, di famiglia. Quest’anno, invece, sarà il primo Natale senza mio padre e senza mia madre. E improvvisamente Natale non è più Natale. Non ci sono regali da scegliere con amore, cene da cucinare, case da illuminare. La sensazione è che il mondo intorno si ritiri e che questa dimensione di solitudine interiore ed esteriore si amplifichi. Ci si accorge che qualcosa è cambiato per sempre.

Del resto, per molte persone il Natale è forse il momento più cruciale nell’anno, quello in cui il mondo intero ci costringe a fare i conti con i nostri legami familiari e con tutto ciò che di irrisolto vi gira intorno. Ed è proprio questo il momento in cui diventa difficile mantenere saldo l’equilibrio sul quale ci si è retti per tutto il resto dell’anno. Perché, spesso, si tratta di un equilibrio precario. Quando nelle nostre vite ci sono dei nodi aggrovigliati, con i quali abbiamo cercato di convivere camminandoci intorno con cautela per non inciampare nei fili, quando abbiamo tenuto questi nodi nella penombra, così che non sembrassero tanto grandi, all’improvviso, quando vengono inondati dalle luci di Natale, luci che si accendono dappertutto, luci che illuminano ogni nostro angolo, inneggiando alla gioia, ecco che sotto quelle luci, i nodi appaiono come grovigli inestricabili.

Perché nella maggior parte dei casi, i comportamenti che abbiamo messo in atto nella convinzione che ci avrebbero liberato da legami familiari pesanti, in realtà ci hanno legato ancora di più, e quei ruoli ai quali abbiamo cercato di sottrarci, scopriamo improvvisamente che sono marchiati a fuoco dentro di noi. Come uscirne? È sempre una questione di scelte. Nel mio caso, ad esempio, se il Natale ha fatto riaffiorare la concretezza del peso dell’assenza dei miei genitori, quel peso che per mesi non ho guardato, raccontandomi di essere troppo impegnata in altre cose, ho scelto di non girarmi più dall’altra parte e di tuffarmi invece in quelle acque che mi facevano paura. E ho deciso che da quel tuffo non sarei riemersa come prima. Che sarebbe stato il mio ponte verso il Nuovo Anno, verso una trasformazione interiore ed esteriore. E quando sono riemersa da quelle acque, tutto era più chiaro.

Era chiaro che avevo davanti un’altra scelta. Potevo scegliere se rimanere appoggiata, agganciata a tutto ciò che da sempre era stato dietro le mie spalle e che improvvisamente, quasi inspiegabilmente, non c’era più, oppure se proiettarmi in avanti, verso tutto ciò che posso essere proprio grazie a tutto quello che ho avuto dietro le spalle. Per molti, soprattutto per chi non ha una visione spirituale della vita, questa scelta è difficile, talvolta addirittura inaccettabile, perché senza una visione più ampia, i piccoli legami, anche quando fanno molto male, rappresentano l’unica forma di appartenenza nella quale ci si riconosce. Ma per chi ha abbracciato un sentiero, per chi ha incontrato il proprio Maestro, è facile abbandonarsi tra le sue braccia, e da qui comprendere come tutto, anche le esperienze più dolorose assumano un significato più alto e tutto diventi un’opportunità di crescita, evoluzione e trasformazione.

Tantissimo tempo fa, potrei dire, qualche vita fa, pur se in questa stessa incarnazione, ho disperatamente desiderato dei figli. E quando ho compreso che non sarebbero mai arrivati, almeno non in modo “naturale”, nonostante non ci fosse alcun impedimento fisico, c’è stato un momento in cui sono riuscita ad andare oltre il dolore, e a sentire profondamente nel mio cuore che l’Universo (a quel tempo lo chiamavo così) era infinitamente più saggio di me, e che se Lui voleva così, era perché questo era giusto per me. E così rinunciai, con grande serenità, ad accanirmi contro il mio corpo per costringerlo ad una gravidanza innaturale. Quando lo seppe una amica di mia madre, all’epoca sessantenne, una donna che, come me, non aveva potuto avere figli, volle incontrarmi e condivise con me il suo dolore, e mi spinse a riconsiderare la mia scelta, dicendomi una frase che ancora oggi ricordo. Mi disse: “quando invecchi senza figli, la vita si asciuga”.

Mi colpì tantissimo questa espressione, tanto semplice e tanto chiara, ma compresi subito che per me sarebbe stato diverso, che la mia vita non si sarebbe mai asciugata, perché quando il tuo sguardo è rivolto verso l’Alto, la tua vita è costantemente irrorata da una pioggia di benedizioni. Ed è bello imparare a scoprire quante benedizioni sono nascoste anche dietro ciò che apparentemente ci fa male.

 

 

 

 

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