“Eravamo pionieri di un mondo nuovo”

Intervista a Shivani Lucki, membro fondatore di Ananda, che ripercorre le tappe su questo Sentiero, e gli insegnamenti di grandi Maestri che aiutano a fare di ogni sfida un’opportunità di crescita. 

di Shraddha Giulia Calligaro

Non è possibile contenere Shivani, al secolo Fern Rosenberg, in una breve presentazione. La raccontano un po’ tre cose che stanno intorno e dentro questo incontro. La prima accade nei giorni che precedono l’intervista. Mi chiede di anticiparle i temi delle domande, e dopo poco mi manda in risposta i punti che avrebbe toccato: ci sono precisione, metodo, profondità.
La seconda viene fuori a un certo punto, mentre parla della fondazione di Ananda in America e di Swami Kriyananda, a cui lei fu accanto più o meno dall’inizio: “Swamiji vedeva l’energia che c’era dietro i fatti, non gli interessavano i fatti in sé”, dice. E mi accorgo che è esattamente quello che sta accadendo con le sue parole: c’è un’aria in levare che va oltre alle parole stesse, e alla fine qualcosa è andato a segno molto più nel profondo dell’intervista.
Della terza mi rendo conto alla fine. In un’intervista, infatti, si parla sempre a lungo per trovare le pepite che galleggiano in mezzo alla materia inerte che verrà scartata: mi sono trovata invece una pila di fogli in cui non ci sono scarti, ma in cui tutto è già pesato e carico di senso (Shivani di nome e di fatto!). Perciò, con la pazienza dei lettori, riporto ampiamente la nostra chiacchierata, cominciando dall’inizio.

Come nasce in te la ricerca spirituale?

Non siamo sempre consapevoli quando una cosa inizia, ma già nella mia famiglia d’origine, a Pittsburgh in Pennsylvania, eravamo ebrei osservanti. Io ero immersa in tutte le pratiche con fervore, conoscevo la lingua ebraica, i canti, le danze… Ma quando venne il momento di ricevere un’importante iniziazione, mi fu negata in quanto donna: ne fui molto delusa e per anni me ne dimenticai. Finché, al tempo dell’università, iniziarono a premere le domande esistenziali. Studiavo giurisprudenza ed ero animata da un fortissimo senso della giustizia e dalla ricerca di una verità assoluta. Negli anni ’60 c’erano molte discriminazioni: i prigionieri, le classi più povere, i minori… Invece già il primo giorno un professore disse in classe: “Se qualcuno è qui perché crede in una legge suprema ha sbagliato facoltà e deve spostarsi alla palazzina accanto: facoltà di teologia”. In effetti non era la mia strada, ed ero infelice. A 23 anni mollo tutto e attraverso per mesi l’America in autostop, da Washington D.C., dove studiavo, alla California. Era il 1968 e condividevo lo spirito di quegli anni ribelli: volevo scoprire un altro modo di vivere, avevo capito che la vita normale non faceva per me. In California, a Palo Alto, trovai intanto un lavoro come segretaria legale per mantenermi. Qualcosa, però, iniziava a muoversi in una nuova direzione. Avevo letto un libro: Food is your best medicine di Henry G. Bieler e stavo diventando vegetariana. Nel mio diario scrissi: “Credo di aver bisogno di un Guru, ma non so cosa sia un Guru”.

E Ananda a quale punto della storia entra nella tua vita?

Accadde proprio in quel tempo. Un conoscente mi aveva parlato dell’Hatha yoga e di uno Swami americano che insegnava: “Uno vero”, aveva aggiunto. Era Swami Kriyananda, allora dava lezioni per costruire la prima base della comunità che poi sarà Ananda Village. Ho seguito, dunque, alcune lezioni di yoga con lui, e una volta ci raccontò che aveva scritto un libro sulle comunità: Cooperative Communities – how to start them and why. Lo presi e lo lessi in un giorno: sentii che era quella la vita che stavo cercando. Scrissi a Swami e Decisi di andare a trovarlo in estate. Siamo nel gennaio 1969.

Cosa ricordi di quegli anni e della fondazione di Ananda?

Sono arrivata nella comunità il 22 giugno 1969, lui non c’era. Io ero molto irrequieta allora, ed ero pronta a partire per un altro viaggio. Quando lui arrivò non mi riconobbe, mi chiese chi fossi e gli dico delle mie intenzioni: la ricerca di una vita diversa, l’idea del viaggio. Lui mi prese il palmo della mano – è strano, perché non ha mai letto la mano nella sua vita – guardò per pochi secondi e mi disse: “Spero che troverai qui tutto quel che cerchi e che ti fermerai tutta la vita”. Quelle parole iniziarono a germogliare e a portare quiete. Da allora sono passati 51 anni, e in effetti ho confermato sempre ciò che ho provato il primo istante: era il mio luogo. E non per la pratica, allora ancora non meditavo, ma certamente per alcuni semi che erano già dentro di me. Aggiungo il fatto che io ho sempre amato il mito dei pionieri americani, e lì eravamo pionieri di un mondo nuovo. Non c’era ancora nulla all’inizio, solo il ritiro per meditare. Il 4 luglio Swami firmò il contratto per comprare anche il terreno che divenne poi il Village. La vita era molto semplice, eravamo una dozzina, venivano degli ospiti solo per l’estate, con le tende. La mia prima sistemazione fu un materasso sotto un pino, sopra un tappeto di aghi; poi una roulotte. I bagni erano in comune, c’erano poi la sala da pranzo e un tempio. Non c’era l’elettricità, avevo una lanterna e una stufa a propano. In inverno era freddissimo. Nel 1970, dopo la stagione degli ospiti, iniziammo a sviluppare la comunità e costruimmo dei tepee in legno con stufe che non bastavano mai per il freddo che c’era. Ma tutti questi travagli facevano parte del sogno, e oltre allo spirito da pionieri c’erano ideali elevati a spronarci.

La tua famiglia come accolse questa scelta di vita?

Per i miei genitori ero come morta. Credo che mio padre avesse fatto anche un rito per questa morte. Mia madre era venuta a trovarmi una volta ed era sconvolta: non ci voleva credere che ci fosse Gesù tra i Maestri. Si congedò dicendo: “Non lo dirò al papà”. Ci siamo riconciliati nel 1975, quando mi sono sposata con Arjuna e siamo andati a trovarli. Hanno visto che era un bravissimo uomo e si sono tranquillizzati. In realtà forse avevano voglia di ritrovarmi.

Ritornando alla tua vita da pioniere ad Ananda, quali erano le attività che facevi allora?

Nel 1970 un devoto aveva iniziato a fare l’orto, era uno steineriano e usava l’agricoltura biodinamica. Da subito io sono diventata la sua aiutante e mi sono dedicata all’orto per otto anni. Questo contatto con la natura fu per me importantissimo e ha segnato la mia vita spirituale. Jyotish intanto era stato incaricato di avviare alcune attività economiche, tra queste c’era la manifattura di incensi. Dopo l’orto e in inverno facevo anche quello. Nei primi anni avevamo l’essenziale. In inverno mangiavamo patate, zucche, barbabietole, carote, cavolo, il riso che compravamo, ma andava bene così. E dopo tutto questo, nel 1976, a causa delle scintille fuoriuscite da una macchina di manutenzione del Comune – il centro più vicino era Nevada City – scoppia un incendio rovinoso: si salvarono solo il tempio, la scuola, la casa editrice, la clinica, che intanto erano nati. Ugualmente Swami decise di non fare causa alla municipalità: a livello energetico sentiva che non era la cosa giusta da fare. Infatti poi, pur con amministrazioni diverse, siamo stati sempre ben accolti da loro e appoggiati.

Ci presenti Swami?

All’inizio per me era un enigma. Per la mia visione il suo modo di fare non era logico. Appunto, i fatti per lui non erano la cosa più importante. Dopo qualche anno che ero lì, andò in India. A noi capitò di tutto nel frattempo nella comunità. Al ritorno glielo dicemmo, e lui rispose: “Vedo che va tutto benissimo”. Aveva guardato al nostro spirito. Poi l’ho capito: lui viveva e vedeva un mondo dove la realtà era energia. Era un leader saggio, non secondo le regole della leadership del mondo. Ci ispirava con i suoi ideali, ma lasciava che ciascuno trovasse nella propria natura come applicarli nelle cose pratiche. Un altro esempio: la comunità era retta da un consiglio di 9 persone e lui lo presiedeva, però non ha partecipato neanche un giorno. Se avevamo dei problemi certamente andavamo da lui, ma sapeva delegare e gli interessava il processo che ciascuno metteva in moto, non controllava e non voleva creare un’istituzione. Jyotish coordinava le attività spirituali, un’altra persona quelle pratiche. Tutti prestavamo servizio, ma ci faceva fare una rotazione delle mansioni ogni 2 o 3 anni, affinché non diventasse una cosa automatica, senza creatività e per farci fare tante esperienze. Diceva che la comunità era a nostro servizio, non noi al suo. E poi, il suo famoso motto: “Le persone sono più importanti delle cose”. Questo modo di fare gli ha anche consentito di compiere il suo Dharma, ovvero di fare conferenze e di scrivere tanti libri.

Quando sei arrivata in Italia?

Avevo già viaggiato in Europa durante l’università e avevo pensato che mi sarebbe piaciuto restare. Poi nel 1980 Swami decise di iniziare l’espansione in Europa. Prima venne Kirtani a insegnare yoga e meditazione per 2 anni a Roma. Nel 1984 le prime 5 persone iniziarono a fare la comunità a Como, e nel 1985 arrivammo anche io e Arjuna. Nel frattempo avevo cercato di studiare un po’ l’italiano. Prima di partire abbiamo chiesto a Swami: “Si tratta di una vacanza o di un’opera?”, e lui ci precisa che partivamo per lavorare. Di nuovo eravamo pionieri. La villa dove stavamo era senza riscaldamento, e con gli ospiti era un po’ un problema. Nel 1986 ci si mise anche Chernobyl e intanto il contratto finiva, quindi iniziammo a cercare un’altra sede. Quando arrivammo ad Assisi, Swami disse: “Credo che vada bene qui”. Così è iniziata una nuova avventura, prima per sistemare il Rifugio, che non fu da subito la nostra sede, poi per avviare qualche attività economica. Lo yoga cominciava a essere richiesto, c’era una nuova sete spirituale, e una di noi aveva avuto l’idea di cucire un cuscino imbottito di kapok con il simbolo del fiore di loto. Lo portammo a una fiera e ricevemmo un ordine di mille cuscini, andammo in tilt. Lavorando tutti notte e giorno ce la facemmo a onorare l’ordine. Nacque così Inner Life.

Ti sei mai chiesta come mai tu sia stata attratta proprio da questo sentiero, da questi Maestri?

Credo di averlo già conosciuto dalle incarnazioni passate. In questa, il mio desiderio era per la giustizia e per una legge naturale, assoluta. E l’ho trovata negli insegnamenti di Yogananda: degli insegnamenti universali, aperti a tutti, non settari: Dove la responsabilità resta all’individuo, ma c’è la guida di grandi Maestri. La via del Sanaatan Dharma (nome originale dell’Induismo, ndr) faceva per me, e il sentiero della “Realizzazione del Sé” era tutto quello che volevo trovare. Bisogna considerare anche che, fino agli anni ’60, Yogananda era stato il primo a portare questi ideali in Occidente e a passare in Occidente gran parte della sua vita, cioè dagli anni ’20 al 1952. Prima era venuto Vivekananda, ma si era fermato poco e aveva avuto un seguito più circoscritto. Sono sempre andata da tutti i Maestri che ho avuto l’opportunità di incontrare, come delle scritture viventi, per farmi ispirare; Maestri indiani come Satchidananda, discepolo di Sivananda. Ma non ho mai avuto dubbi, anche se il mio Guru non era più nel corpo: il vero Guru è interiore, e poi c’era l’esempio di Swami, suo discepolo diretto.

Come descriveresti questo sentiero, e quali sono gli insegnamenti più peculiari?

È parte del sentiero del Raja yoga, dunque include sia la via dell’azione, che della contemplazione e della devozione, ma ha come sua specialità la pratica del Kriya. Il Kriya è una scienza efficace, ti consente di non perdere tempo, accelera la tua evoluzione. Ti fa fare in un’incarnazione i passi che da solo non potresti mai fare. Ti permette di affrontare, infatti, i semi di Karma nascosti nel corpo astrale. Un’altra caratteristica è che questo sentiero rende spirituale tutta la tua vita, non solo durante le pratiche, anzi: diventa la tua vita.

Per percorrerlo davvero bisognerebbe ritirarsi dal mondo o si può vivere una vita “normale”?

È importante oggi stare nel mondo per crescere. È soltanto quando puoi applicare la spiritualità a tutte le sfide della vita che puoi vedere a che punto sei. Una cosa è mantenere la pace nella meditazione, un’altra è mantenerla anche quando qualcuno ti offende, e offrire comunque tutto in alto. Quello che accade in quest’epoca riguarda il mondo, ma anche le anime che si sono incarnate proprio ora: quindi riguardano quello che dobbiamo imparare per la nostra evoluzione. Anche se naturalmente in ogni epoca ci sarà chi ha il Dharma di ritirarsi. In questo senso è stata grande l’ultima opera di Swami di creare l’ordine dei rinuncianti: non per persone che sono fuori dal mondo, ma anche per chi è sposato. È all’ego che in realtà si rinuncia.

La vita in comunità quanto è importante in questa crescita?

Era un sogno di Yogananda. Lui diceva: “L’ambiente è più forte della volontà”. Per crescere serve un ambiente adatto. E dall’ambiente poco adatto nascono continue spinte contrarie alla vita spirituale. Un aneddoto. Swami viene invitato a un convegno e viene presentato come il padre delle comunità. Quando inizia a parlare esordì così: “A me non interessano le comunità”. Tutti trattennero il respiro. Poi aggiunse: “A me interessano le persone e la loro crescita. Poiché le comunità aiutano questa crescita, io farò del mio meglio per espandere questa armonia. Ma se diventano delle istituzioni, non mi interessano più”. Era ancora il suo partito preso contro ogni dogma. Poiché ogni istituzione per vivere rischia di far prevalere la forma.

Veniamo al presente, per concludere. Che consigli daresti a chi si sente spaventato dagli eventi che stiamo vivendo?

Per chi non ha fede che tutto accada sempre per il meglio per la nostra crescita, certo è un momento molto difficile. Il cambiamento è secondo solo alla morte per lo spavento che incute. All’ego piace la sicurezza. Ma se ci guardiamo indietro, quanti cambiamenti abbiamo attraversato? Ha fatto paura anche passare dai cavalli alle auto, dalle auto agli aerei. Ma il progresso è cambiamento e stimola la nostra creatività. È impossibile, d’altro canto, dire alla vita di tornare indietro o di fermarsi: è la sua natura quella di andare sempre avanti. Ancora, dipende se guardi i fatti o l’energia.

 

Shivani Lucki è cofondatrice dell’Accademia Europea di Ananda Yoga, e fondatrice e direttrice della scuola Europea di Ananda Raja Yoga e della Scuola Ananda Life Therapy. È uno dei membri fondatori del Villaggio Ananda di Fratellanza Mondiale in California, USA, dove ha vissuto dal 1969 fino al 1985, quando con il marito si trasferì in Italia per coadiuvare l’apertura di Ananda Europa. Ha studiato con Swami Kriyananda che le ha conferito il diploma di insegnante di yoga e meditazione nel 1973, il titolo di Ministro di Ananda nel 1982, quello di Yogacharya nel 1993 e l’ha autorizzata a dare l’iniziazione al Kriya Yoga (Kriyacharya) nel 2005. Nel 1979 Shivani ha dato inizio ai programmi di preparazione yoga all’Ananda World Brotherhood Expanding Light in California, USA, ed è stata coordinatrice degli insegnanti e dei ministri di Ananda negli Stati Uniti. Dal suo arrivo in Italia si è occupata della creazione dei corsi per gli ospiti ad Ananda Assisi e della formazione di insegnanti di meditazione in tutta Europa. Viaggia spesso tenendo conferenze e seminari sulla realizzazione del Sé e sul Kriya Yoga.

Se ti è piaciuto questo articolo, pensiamo possa piacerti questo libro Un luogo chiamato Ananda di Swami Kriyananda (https://www.anandaedizioni.it/shop/libri/corpo-mente-spirito/un-luogo-chiamato-ananda/)

 

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