L’arte del Kintsugi

Da una tradizione orientale, un insegnamento per affrontare in modo nuovo e accogliente le proprie cicatrici.

di Laura Marinoni

A Natale un’amica mi ha regalato un piccolo vaso, creato con l’arte del Kintsugi.

I giapponesi credono che quando un oggetto ha subito una ferita ed ha una storia, diventa più bello. Invece di buttarlo, riempiono la spaccatura con dell’oro, per renderlo ancora più prezioso.

Mi commuove nel profondo questa idea di riparare il mondo. La nostra abitudine di eliminare le cose che non funzionano o che hanno perso lo smalto della perfezione è radicata in noi da chissà quanto tempo. Facciamo lo stesso con le persone, a volte senza accorgercene davvero.

Forse mai come oggi siamo tentati di spazzare via questo momento storico doloroso, dove le crepe nel pianeta terra e nelle nostre anime sembrano innumerevoli, per cercare qualcosa di sconosciuto, che ci ridia la speranza e la lucidità per realizzare i nostri sogni.

Vogliamo ricominciare daccapo, cancellando la memoria della sofferenza, di tutto ciò che invecchia, che si trasforma. Crediamo di doverci sbarazzare in fretta non solo degli oggetti rotti, ma anche dei ricordi scomodi, del senso di frustrazione e di impotenza che ci deprime.

Ma quale è davvero l’immagine del Nuovo? Cosa significa iniziare un nuovo anno, un nuovo amore, un nuovo incontro?

Forse dovremmo lasciarci accompagnare dalla nostra storia, permetterle di sopravvivere.

Non è una tecnica facile, quella della ricomposizione. Richiede pazienza e respiro, attenzione ai dettagli e visionarietà, determinazione e fantasia.

Eppure, sarebbe meraviglioso che ognuno mettesse umilmente a nudo le proprie ferite, per accettarle, curarle con una colata d’oro fuso e farle splendere.

Mi viene in mente un episodio che riguarda mio figlio, in terza elementare.

Era un test psicologico, se ricordo bene. A scuola gli diedero un foglio in cui era tratteggiato a matita solo il contorno di una figura di bambino, e il compito era riempire quello spazio bianco disegnando se stesso.

La maestra rimase di sasso quando vide il risultato: Michelangelo aveva messo al loro posto gli occhi, il naso, la bocca, le orecchie, il sesso e …tutte le sue cicatrici.

Quel ricciolo rosso rimasto sulla sua guancia destra, dopo la corsa all’ospedale dove gli cucirono per la prima volta i punti, sul braccio il segno di una brutta caduta in bicicletta, il regalo di una ferita al ginocchio.

Quello era lui. Con tutti i suoi orifizi, i suoi sensi e le sue sacre cicatrici, di cui andava fiero.

Aveva inventato l’arte del Kintsugi, nobilitando i suoi ricordi dolorosi!

Ecco, il Nuovo per me vorrei che fosse questo grande insegnamento.

“E brillo del mio oro/ dove so di poterlo mettere”.

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