La vera pace viene dal collegamento con una realtà più alta: lo yoga è il ponte verso questa meta. Lo raccontiamo in questo articolo, con qualche consiglio pratico per tutti.
di Francesca Nicastro
Chi non è collegato al Supremo [collegamento che si ottiene attraverso la sadhana, ndr] non possiede né intelligenza né stabilità interiore e neppure la pace. E chi non ha la pace, come può essere felice?
La Baghavad Gita (II, 66) insegna che non può esserci felicità senza pace. E che la pace deriva – così come l’intelligenza e la stabilità interiore – dalla condizione di yuktasya.
Yukta è il participio passato di yoga; dunque è lo stato di yoga, ovvero di collegamento con il Divino, che porta nella nostra vita la qualità della pace, presupposto per la felicità. Chi medita regolarmente alla ricerca del collegamento con la Realtà superiore diventa insomma shanta, pacifico: profondamente appagato, non sente di dover muovere guerra a nessuno.
Santosha, l’appagamento: un dovere per lo yogi
Non a caso l’appagamento (santosha) è una delle prescrizioni dell’etica yogica, il secondo dei cinque niyama. La soddisfazione è, per lo yogi, uno stato da ricercare perché il suo contrario, l’insoddisfazione, rende turbolenti e conflittuali. Come si diventa soddisfatti? Appagando i propri bisogni. Ma in che modo? E quali bisogni?
La scienza dello yoga insegna che il tentativo di appagare i bisogni con le cose o le relazioni del mondo fornisce solo un benessere momentaneo. La strada della soddisfazione duratura è appunto quella indicata dallo sloka citato: collegarsi con il Supremo. Arrivando in dono intelligenza, stabilità interiore, pace e felicità, cosa si può desiderare di più?
Dio non è un concetto astratto, è un’esperienza fisica
Dio non è lontano. Non è un concetto astratto. È un’esperienza fisica, quindi vicinissima. Dio si sperimenta nel corpo. Io l’ho ritrovato attraverso la pratica degli asana, della meditazione e della preghiera. La sua presenza nella mia vita è garanzia di senso, direzione e di stati interiori molto piacevoli.
C’è un deficit di meditazione e di Dio in questa nostra contemporaneità. Gli esiti, nefasti, sono sotto gli occhi di tutti: siamo sull’orlo della terza guerra mondiale, quella senza ritorno per l’umanità. Quando vediamo/diventiamo una persona conflittuale, guerrafondaia, aggressiva dobbiamo chiederci quali suoi/nostri bisogni non sono appagati e fare di tutto per aiutarla/ci ad appagarli nel modo più sattvico (virtuoso) possibile. Solo con persone appagate si può costruire un mondo pacifico.
Il bene più grande: condividere Dio
Il bene più grande che possiamo condividere con gli altri è dunque Dio: come una pianta, anche la vita, va innaffiata alla radice. Ora, provare a spiegare queste cose a chi ha perso un figlio, un marito, un fratello, la casa, la patria, la normalità è certamente arduo. Perciò i saggi esortano a “fare il lavoro” prima che si scateni la tempesta. Ci sono tre “tempeste” che non vengono risparmiate a nessuno: la malattia, la vecchiaia e la morte. La preparazione pertanto va fatta in tempo di pace per essere pronti in tempo di guerra. La preparazione si chiama sadhana: disciplina spirituale.
La pratica per la “memoria di Dio”
Si può cominciare con poco. Ecco, ad esempio, una piccola-grande pratica da poter compiere ogni giorno, al mattino, appena alzati, e/o alla sera, prima di coricarsi: l’affermazione di Swami Kriyananda per la memoria di Dio. Va ripetuta quattro volte: a voce alta, a voce media, sussurrando e poi solo mentalmente, permettendo alla vibrazione di colmare il nostro essere.
Vivrò nella memoria di ciò che veramente sono: beatitudine infinita, eterno amore!
La pratica si può concludere con la preghiera:
O Signore, Tu sei sempre con me. Aiutami a percepire, dietro ai miei pensieri, la Tua ispirazione; dietro a ogni mia emozione, il Tuo quieto amore che tutto trasmuta.
Le parole di Yogananda
“Soprattutto, perfezionate il vostro rapporto con Dio. Questo è il più importante di tutti i pensieri creativi. Se la vostra volontà si indebolisce nonostante la determinazione spirituale, reagite. Tutto cercherà di tentarvi non appena desidererete Dio. Tutto vi porta a credere di trovare la felicità nei divertimenti mondani che, invece, vi allontanano dalla ricerca spirituale e distruggono la vostra forza di volontà. Quando ho cominciato a percorrere questo sentiero, non andavo mai al cinema né cercavo altre distrazioni. Ero seriamente impegnato nella ricerca di Dio, e ora, dopo averlo trovato, qualunque cosa io faccia si è trasformata in un gioco da ragazzi. Egli mi ha dato tutto, ma per me non esiste nulla di più affascinante della costante comunione interiore con l’Amato del mio universo” – Paramhansa Yogananda, da Il divino romanzo (Astrolabio, Roma, 1996)