Il Karma Yoga come scienza della Gioia: la “giusta azione”, senza desiderio e attaccamento ai risultati, facendo del bene agli altri lo fa anche a te.
di Sanjaya David Connolly
“Servirò Dio negli altri e, col mio servizio a Lui, dissolverò la presa che l’ego ha su di me” – Swami Kriyananda
“SERVIZIO” è una parola che non suona bene per la maggior parte di noi, associata com’è con altre parole che suonano ancora peggio, come “servo” e “servitù” e le loro radici etimologiche nel servus (o schiavo) in latino. Sono parole che provocano immediatamente una reazione negativa nell’ego all’idea di qualsiasi forma di sottomissione alla volontà o ai bisogni di un’altra persona. Infatti, lungi dall’essere associato alla gioia, il servizio è un concetto più spesso associato alla fatica che deriva da una necessità, un dovere o un obbligo. Quindi serviamo (di solito involontariamente) in cambio di qualcosa (denaro, riconoscimento, potere), o per motivi morali o patriottici (famiglia, società, Paese), o perché non abbiamo scelta (obbligati da qualcuno o qualcosa al di fuori del nostro controllo). In che senso quindi il servizio può essere associato in qualche modo alla gioia?
Il concetto di KARMA YOGA (uno dei quattro percorsi principali dello yoga) può forse aiutarci a comprendere meglio questa associazione. Il Karma Yoga è spesso descritto come lo yoga dell’azione, sebbene, più correttamente, sia lo yoga dell’azione giusta (cioè l’azione che ci avvicina a Dio, che non crea nuovo karma e dissolve il karma passato). Perché un’azione sia “l’azione giusta”, deve essere fatta con l’atteggiamento giusto. In altre parole, deve essere fatta in modo altruistico (non per un guadagno per sé, ma nello spirito di essere utile agli altri e, in definitiva, a Dio); senza desiderio (nish-kam in sanscrito) o attaccamento ai frutti dell’azione; e con la consapevolezza che non siamo noi ad agire, ma che è Dio ad agire attraverso di noi. È QUESTO GIUSTO ATTEGGIAMENTO CHE PORTA GIOIA AL SERVIZIO. Perché uno dei principi fondamentali per il successo nella pratica del karma yoga è di pensare che non è così importante quello che facciamo, ma come lo facciamo. Qualsiasi lavoro può essere di beneficio spirituale, aiutarci nella crescita personale e portare molta gioia, se è fatto con il giusto atteggiamento.
E non ci viene richiesto semplicemente di credere a questa verità o di esserne convinti da argomenti persuasivi. Il Karma Yoga, come tutti i percorsi dello yoga, non è una religione o un sistema di credenze. È una scienza e siamo tutti liberi di sperimentare e di mettere alla prova la sua verità per noi. E la verità è che servendo gli altri, essendo utili agli altri, ci sentiamo immersi in un flusso interiore costante di gioia. Come la gentilezza, servire è già di per sé la (gioiosa) ricompensa. Il servizio è il mezzo con cui l’anima si libera dall’ego, dalla preoccupazione che l’ego ha per sé. Così indirizziamo naturalmente verso lo sviluppo di buone tendenze quell’energia che vuole portarci in direzioni sbagliate, egoistiche (e in definitiva non gioiose).
Perché l’azione senza desiderio per i frutti del nostro lavoro porta gioia? La vera gioia non è l’emozione transitoria provata quando un desiderio viene soddisfatto. È una qualità dell’anima, che arriva quando l’anima si identifica con il vero Sé e non con il corpo e i suoi desideri. Cioè, quando (attraverso il giusto atteggiamento) la nostra anima si identifica con il divino, si identifica con la vera fonte di gioia. Inoltre, il desiderio è sempre legato al futuro, a qualche ricompensa futura. Eppure tutti i Maestri ci dicono che la vera felicità può essere trovata solo nel presente, nel qui e ora.
Allo stesso modo, fare qualcosa con la consapevolezza che è Dio che agisce – e non noi – ci libera dal peso delle tendenze egoistiche e dalla probabilità di azioni sbagliate. È il senso di essere gli agenti dell’azione e non è l’azione stessa che impedisce l’identificazione dell’anima con la fonte della gioia. Al contrario, è servendo consapevolmente come canali della volontà divina che siamo condotti all'”azione giusta”, che è il vero karma yoga, e alla gioia che ne deriva. Servire gli altri è uno dei percorsi più brevi verso Dio perché, di fatto, servendo gli altri stiamo davvero servendo Dio. E a un livello ancora più sottile, è proprio Dio che sta servendo Dio ed è la Sua Gioia che si esprime attraverso di noi.
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(Articles written in English by their authors are also now published in their original language)
“I will serve God through others, and by my service to Him, release the hold the ego has on me.” (Swami Kriyananda)
“Service” is a word which doesn’t resonate well with most of us, associated as it is with other words which resonate even less, such as “servant” and “servitude” with their etymological roots in the Latin servus (or slave). They are words that immediately provoke a negative reaction from the ego at the idea of any form of submission to the will or needs of another. For, far from being associated with joy, service is a concept more often associated with the drudgery arising from a necessity, duty or obligation. So we serve (usually unwillingly) in exchange for something (money, recognition, power), or for moral or patriotic reasons (family, society, country), or because we have no choice (obliged by someone or something beyond our control). How then can service in any way be associated with joy?
The concept of Karma yoga (one of the four principle paths of yoga) can perhaps help us to better understand this association. Karma Yoga is often described as the yoga of action, though, more correctly, it is the yoga of right action (i.e. action which brings us closer to God, which creates no new karma and dissolves past karma). For action to be “right action”, it must be done with the right attitude. In other words, it must be done selflessly (not for self-gain but in the spirit of being useful to others and, ultimately, to God); with no desire (nish-kam in Sanskrit) for or attachment to the fruits of the action; and in the consciousness that we are not the doer, but that God is the doer through us. It is this right attitude that brings joy to service. Because one of the basic principles in the practice of Karma Yoga is to understand that what we do is not so important as how we do it. Any work can be of spiritual benefit, can help us in our personal growth and give us great joy if done with the right attitude.
And we are not required to simply believe this truth or to be convinced of it by persuasive arguments. Karma Yoga, like all the paths of yoga, is not a religion or a belief system. It is a science and we are all free to experiment and test its truth for ourselves. And the truth is that by serving others, by being useful to others, we feel ourselves bathed in a constant inner stream of joy. Like kindness, serving is its own (joyful) reward. Serving is the means by which the soul breaks free of the ego, of self-preoccupation. We automatically divert toward the development of good tendencies that energy which wants to take us in wrong, egoistic (and ultimately non-joyful) directions.
And why does action without desire for the fruits of our work bring joy? True joy is not the transient emotion felt when some desire is satisfied. It is a quality of the soul, experienced when the soul identifies with its true self and not with the body or its desires. When (through right attitude) our soul identifies with the divine, it identifies with the very source of joy. In addition, desire is always related to the future, to some future reward. Yet all the masters tell us that true happiness can only be found in the present, in the here and now.
Acting with the consciousness that God is the doer -and not us- similarly releases us from the burden of egoistic tendencies and the likelihood of wrong action. t is the sense of doership and not the action itself that prevents the soul’s identification with the source of joy. On the contrary, it is by consciously serving as channels for the working of the divine will that leads us to the “right action” that is true karma yoga and to the resulting joy. Serving others is one of the shortest paths to God because, in fact, through serving others we are really serving God. And on an even more subtle level, it is really God who is serving God and it is His Joy that expresses itself through us.
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Ricordo la mia prima settimana ad Ananda. Settimana introduttiva. E ogni mattina dopo colazione Karma yoga al tempio. Una mattina si passa l’aspirapolvere, un’altra si piegano le coperte, un’altra si sistemano le sedie e così via..Nel tempo mi son venute queste riflessioni: troppo bassa la percentuale di persone che dopo la gioia di aver spolverato il tempio passano nella loro vita ad un impegno concreto e gratuito verso chi è in difficoltà, troppo alto il rischio che l’io si autoinganni e si invischi in meri atteggiamenti psichici che cercano la gioia personale come fine ultimo.
La ricerca della “azione giusta” ha tante implicazioni.Il “come ” agisco non può prescindere dal “cosa” agisco e “per chi” agisco implicando inevitabilmente un discernimento morale inteso come scelta tra bene e male. Aprirci come canali con la certezza che non siamo più noi ad agire ma Dio o la Sua volontà porta con sè il rischio della deresponsabilizzazione.
Riconosco il fascino degli insegnamenti orientali e sono convinta che contengano una loro possibilità di salvezza. Vorrei ricordare che molti occidentali hanno scelto la “giusta azione” nelle missioni cristiane in tutto il mondo e in tanti progetti di volontariato laico in aiuto ai più deboli e bisognosi ,diventando in alcuni luoghi del mondo unica risorsa e
sostegno.
p.s.
in riferimento alla frase di Kriyananda citata .
Nella mia personale ricerca spirituale la mia fiducia va solamente a coloro la cui vita è coerente con gli insegnamenti che portano.
Un caro saluto
Antonella Caprara
Grazie Antonella per il tuo contributo.
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