Il rapporto personale con la sadhana è una ricerca da affinare con sensibilità: un viaggio nell’ascolto e nella verità. Dosando acqua e fuoco.
di Pandava
Il sole aiuta ad attingere energie, ci permette di alimentare il fuoco interiore, irrobustendolo.
Spingendomi ad andare oltre i limiti, cimentandomi in situazioni inaccettabili all’ego, oltre agli argini “invalicabili”, come protrarre una pratica oltre il tempo abitudinario o aggiungere delle posizioni e degli esercizi alla sadhana quotidiana – cosa che implica lo svegliarsi prima del solito. In definitiva, attaccare in mio status di comfort in più punti, aprendo molteplici brecce attraverso cui le vibrazioni dei Maestri possano entrare e permearmi.
Parlando della mia esperienza posso dire che, in fondo, dipende solo dalle decisioni prese, da quanto a fondo volessi andare nello stanare le scorie. Poiché esse creano una cortina di fumo attorno alle scelte, rendendomi incapace di comprendere quale sia la giusta azione con la dovuta tempestività.
Per molto tempo, in questo mio tentativo di depurazione spirituale, sono andato a tentoni, così, a forza di cadere nei dirupi dell’ego, appresi un trucco semplice: moderazione e continuo riesame delle azioni compiute comparando aspettative con risultati. Proprio come in una situazione di visibilità ridotta l’istinto di sopravvivenza guida alla cautela attivando tutti i sensi, così è per l’acutezza della visione spirituale.
Usare ogni elemento per avere una più completa percezione dell’ambiente in cui mi stavo muovendo fu la prima lezione. Così appresi a provare le varie tecniche più adatte a me in ciascuna circostanza. Cominciai a capire i ritmi della giornata, come la mattina avessi bisogno di una robusta sadhana incentrata sull’energia mentre la sera il mio corpo pretendesse maggiori allungamenti e rilassamenti. Quali pratiche scegliere fra le tante insegnateci: la ripetizione di mantra, il canto, la discriminazione, leggere gli insegnamenti, quando assorbirli e come.
E non c’è una vera regola, il tempo e le circostanze cambiavano le cose, e anche (per chi ci crede), gli astri hanno la loro influenza nei lunghi cicli della vita come in quelli giornalieri.
Pian piano ho quindi appreso come la mia pratica di purificazione necessitasse di elasticità, adattamento. Di come la volontà forgiata attraverso il fuoco ardente del desiderio spirituale dovesse poi essere temprata nelle acque dell’accettazione. Continuare a battere l’acciaio della volontà senza pormi un limite non portò buoni risultati, il protrarsi continuo e insistente mi condusse all’incrinarsi della determinazione.
Solo quando capii che dovevo dare il tempo alle scorie delle abitudini sbagliate di emergere dal subconscio in un punto visibile e cosciente: solo a quel punto ebbi la possibilità di analizzarle e capirle. Così, dalla comprensione delle cause e delle conseguenze, sono poi riuscito a lasciarle andare poiché legate ad un passato che non mi apparteneva più.
Quindi, a mio avviso, il punto fondamentale di che rende proficuo e accettabile all’ego un periodo di purificazione è l’alternarsi di questi due elementi, fuoco e acqua. Facendo attenzione di partire ben radicati, ovverosia di chiarire in anticipo gli obiettivi che ci stiamo prefiggendo per piantarci con forza in chiari (e possibilmente semplici) obiettivi, per non essere sbalzati via dalla prima folata di dubbio su di noi, il nostro scopo e la nostra forza di volontà.